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Jean Sibelius

Sibelius: “Un’apparizione dalle foreste”

di Ferruccio Tammaro

Ferruccio Busoni soprannominò un giorno l’amico Sibelius “un’apparizione dalle foreste”; perché effettivamente così dovette sembrare agli occhi dei contemporanei stranieri la figura di un musicista che apparteneva ad una giovane nazione non ancora nazione come la Finlandia, allora un semplice Granducato della Russia. Ipersensibile e volitivo di carattere, Sibelius si sarebbe affermato senza schierarsi su posizioni d’avanguardia, ma riuscendo comunque ad acquisire una sua inconfondibile personalità e a fungere quindi, nel mondo internazionale di quel primo Novecento, da autentico emblema musicale della Finlandia degno comunque di trovare posto anche al di fuori della sua patria.

Nato nel 1865 a Hämeenlinna, a un centinaio di chilometri a nord di Helsinki, Sibelius iniziò presto a comporre una buona quantità di Hausmusik dove era il violino, iniziato a praticare attorno ai quindici anni, a godere di una speciale attenzione. Trasferitosi a Helsinki nel 1885 per studiare in quell’Istituto musicale che mezzo secolo più tardi avrebbe assunto il suo nome (Sibelius Akatemia), il giovane dopo il diploma scelse di perfezionarsi prima a Berlino (1890-91), poi a Vienna (1891-92). A Berlino fu allievo di Albert Becker, che lo esercitò alla pratica contrappuntistica, a Vienna di Karl Goldmark e Robert Fuchs, che a loro volta contribuirono allo sviluppo della sua innata attitudine all’orchestra. Tutto ciò fece sì che la sua formazione fu di stampo sostanzialmente classicista, ma nello stesso tempo aperta alle suggestioni descrittive dei “neotedeschi”. In un secondo tempo poi il suo stile si sarebbe anche aperto a influssi francesi di marca impressionistica.

Ritornato in patria, si dedicò ad approfondire la tradizione culturale della sua patria, fondata soprattutto sull’epos nazionale del Kalevala, creando, a fianco del poema sinfonico Una saga (1893), la sinfonia-cantata Kullervo (1892) e il ciclo di quattro poemi sinfonici dedicati, a partire dal 1896, a un altro protagonista di quell’epopea, Lemminkäinen (fra di essi trova posto Il cigno di Tuonela). Nello stesso tempo, grazie al suo carattere sempre positivo e sempre animato da buona volontà, non rinunciò a offrire il suo contributo in varie occasioni celebrative ufficiali utili a sostenere lo sviluppo sociale e civile della sua patria. E in questi apporti, come nel resto della sua produzione, Sibelius avrebbe sempre fatto a meno di sfruttare melodie e danze popolari di casa (“Tutti riconoscemmo quelle melodie come nostre, anche se nessuno le aveva mai ascoltate prima” fu il commento di un collega all’ascolto di Kullervo). L’esito più importante di tale collaborazione fu la nascita, nel 1899-1900, di Finlandia, il lavoro orchestrale che giunse a incarnare compiutamente, soprattutto con il suo tema centrale, presto divenuto una specie di secondo inno nazionale, lo slancio e la fiducia di una terra che da tempo aspirava all’indipendenza.
L’entrata nel nuovo secolo coincise poi con l’entrata di Sibelius nel gran mondo europeo, grazie ad una tournée compiuta dall’orchestra di Helsinki in varie città del continente con meta finale Parigi in occasione dell’Esposizione Internazionale di quell’anno. Per tale evento Sibelius creò la prima delle sue sette sinfonie, raccogliendo un buon successo anche presso la stampa estera. Nel 1902 fu la volta della Seconda Sinfonia, concepita per buona parte in Italia, durante un suo soggiorno a Rapallo, Roma e Firenze. Nello stesso tempo egli continuò a scrivere non solo Lieder e pezzi pianistici, ma anche musiche di scena, un genere che gli sarebbe sempre servito a soddisfare la sua propensione al teatro senza per questo obbligarlo a trattare la vera e propria opera lirica, un ambito che non gli fu mai congeniale. La Suite tratta dalle musiche di scena per Re Cristiano II, creata nel 1898, fu uno dei primi lavori presi in considerazione da un editore del calibro di Breitkopf & Härtel. A tali musiche avrebbero fatto seguito altre collaborazioni per lavori del cognato Arvid Järnefelt (La morte; 1903), di Maeterlinck (Pelléas et Mélisande; 1905), di Strindberg (Bianca-come-cigno; 1908), di Hofmannsthal (Ognuno, 1916), di Shakespeare (La tempesta, 1925-1927). Da quelle per La morte sarebbe scaturita la più che celebre Valse triste.

Questa vita così meravigliosa e così difficile da vivere

Intanto la sua fama internazionale si allargò anche alla Gran Bretagna, che venne da lui raggiunta per la prima volta nel 1905 e che da lì in poi avrebbe regolarmente apprezzato e favorito la sua musica. Nello stesso tempo Toscanini contribuiva anch’egli a dare risalto alla stessa presentandola in Italia, sempre tra il 1904 e il 1905, in concerti a Bologna,Torino, Roma e Milano.
Proprio in coincidenza di questo ampliamento di notorietà Sibelius decise non solo di rimanere in Finlandia per continuare a offrire il suo sostegno in musica alla causa nazionale, ma di ritirarsi con la famiglia a vivere lontano da Helsinki, in un’isolata villa in campagna nei pressi di Järvenpää (a 40 km a nord di Helsinki), denominadola “Ainola”, dal nome della moglie Aino, una donna che per tutta la vita mantenne con lui uno stretto affiatamento spirituale. Il ritiro fu soprattutto una necessità non solo per ovviare a motivi contingenti (Sibelius ebbe cinque figlie, più una sesta deceduta in giovanissima età), ma anche per intensificare in tal modo la sua profonda attrazione per la natura, sempre intesa da lui come principio vitale che circonda e risveglia la coscienza dell’uomo (“Questa vita così meravigliosa e così difficile da vivere”). Non rinunciò tuttavia a compiere, in pratica ogni anno, viaggi all’estero soprattutto per assistere a concerti, per tenere contatti con colleghi ed editori e per tenersi informato sui nuovi indirizzi che la musica d’allora stava imboccando. Intraprese anche l’attività di direttore d’orchestra, limitandola però esclusivamente ai suoi lavori.

Attorno al 1905 il suo stile iniziò poco per volta a spogliarsi di quello spessore tardoromantico di marca čajkovskiana che l’aveva sino a quei tempi compromesso: confermò questo alleggerimento con il Concerto per violino (1903-1905), con il poema sinfonico La figlia del Nord (1906), con il Quartetto per archi Voces intimae (1909), con l’agile Terza Sinfonia (1907), con l’adusta Quarta (1911), nonché con l’originalissimo poema cantato Luonnotar (1913): tutti lavori nei quali si avverte la presenza di quella “profonda logica” che Sibelius associava al principio da lui chiamato “l’imperativo”, in funzione del quale egli si sentiva solo un semplice “strumento”. Nel 1914 venne quindi invitato negli USA, segnatamente a Norfolk (Connecticut, tra New York e Boston), per presentare al locale festival un suo poema sinfonico appositamente creato per l’occasione e dedicato al segreto vitalismo del mare, Le oceanidi. In tale circostanza venne anche insignito di una laurea honoris causa (un attestato simile gli venne conferito dall’Università di Helsinki e, in Italia, poco più tardi sarebbe stato eletto all’interno della romana Accademia di Santa Cecilia). E pure negli Stati Uniti egli si sarebbe conquistato una grande e duratura attenzione.

Lo sviluppo di questo suo continuo aggiornamento internazionale venne bruscamente interrotto dallo scoppio della Prima Guerra mondiale, che lo costrinse a rimanere stabilmente in Finlandia. Si trattò di un soggiorno coatto a cui egli supplì proprio con la contemplazione della natura, ad esempio con l’annuale osservazione delle regolari peregrinazioni degli uccelli migratori (“il mio servizio divino”), suggestivo e costante simbolo per lui della pur affascinante provvisorietà della bellezza. Da qui la nascita di una Quinta Sinfonia (1915-1919) ove un tema legato proprio al volo dei cigni e delle gru chiude il finale con un misto di “tristezza e di ammirazione per la natura”.

Tutti riconoscemmo quelle melodie come nostre, anche se nessuno le aveva mai ascoltate prima

Per la Finlandia la guerra costituì, in seguito al crollo del regime zarista, la conquista dell’indipendenza. Raggiunta nel 1917, essa avrebbe dato luogo a un’aspra guerra intestina, ma costituì comunque una svolta decisiva che, tra l’altro, fece capire a Sibelius quanto il suo compito di musicista nazionale fosse ormai sempre più vicino al termine. In sostanza il dopoguerra portò Sibelius ad astrarsi sempre di più dal tempo e dagli antagonismi fra colleghi. Lo dimostrò nel 1923 con la diafana Sesta Sinfonia e, l’anno dopo, con la raccolta Settima. In altre parole, per quanto al culmine della sua fama nazionale e internazionale, Sibelius si ripiegò sempre più in sé stesso, vale a dire in Tapiola (“Il luogo di Tapio”, il dio dei boschi secondo il Kalevala, che nel 1926 diede il titolo al suo ultimo, grande poema sinfonico). Si ritirò dunque in quella sua silente foresta interiore, dalla quale era un giorno baldanzosamente apparso, così come aveva bene intuito Busoni. Da qui la scelta non facile di sospendere la sua attività creativa pubblica: dopo il 1931 egli non avrebbe più dato alle stampe alcunché di nuovo, vivendo nella serenità della sua Ainola sino alla morte, sopraggiunta quasi a 92 anni nel 1957, circondato dall’attenzione della sua ampia famiglia e dal consenso di numerose personalità musicali di tutto il mondo (fra i direttori d’orchestra ricordiamo, oltre a Toscanini, anche Ormandy, Koussevitzsky, Beecham, Furtwängler, Karajan, Bernstein).